Mhamadou Kara Traore e Ibrahima Deme si raccontano a Palermo, in un’intervista che parte dall’esperienza con Spettatori Migranti e Diverse Visioni per arrivare a parlare di lingue e di Africa
Con il primo spettacolo degli inviti a teatro 2019/2020 di Diverse Visioni prende forma un’idea che in qualche maniera immaginavano insieme già dall’ottobre del 2017, quando dopo un anno dalla nascita del progetto Spettatori Migranti mi contattò Margherita Ortolani perché stava nascendo questo nuovo progetto a Palermo. L’idea era quella, in un futuro prossimo, di mettere in contatto le due esperienze, la comunità meticcia di spettatori romana e quella palermitana. Quando Mahamadou Kara Traore, arrivato a Palermo con me da Roma per curare il racconto dell’esperienza di visione dello spettacolo My place, e Ibrahima Deme del progetto Diverse Visioni, si incontrano, nasce un dialogo che parla di teatro, di percorsi diversi partiti dal Mali e dalla Costa d’Avorio per ritrovarsi nelle platee – e poi sui palcoscenici – di Roma e Palermo.
Ibrahima Deme: Da dove ti è venuta la voglia di partecipare a un progetto come questo che parla di teatro?
Mahamadou Kara Traore: Nel 2016 ero uno studente di Luca, nella scuola di italiano del centro di accoglienza per richiedenti asilo nel quale vivevo. Mentre facevamo lezione di italiano ci proponeva gli spettacoli e dato che io sono uno abbastanza curioso, lo seguivo, ci andavo sempre. Ecco come è nato Spettatori Migranti; in quel momento io non sapevo dire neanche buongiorno, però insieme riuscivamo, in qualche maniera, a capire.
Ibrahima Deme: Poi hai fatto anche parte di uno spettacolo. La tua prima esperienza come attore quando e come l’hai vissuta?
Mahamadou Kara Traore: Quando ho conosciuto la scuola di italiano di Asinitas e ho iniziato a frequentarla. Tutte le mattine facevamo un gioco, un riscaldamento, ed è una cosa che giù da noi in Mali non si fa. Eppure è un momento che ti rilassa, che ti fa dimenticare, che ti fa stare con la mente più libera. Mi è piaciuto. Un giorno è venuto un regista per fare uno spettacolo, si chiama Alessio Bergamo, è anche un mio amico ormai; mi è piaciuto molto e da quel giorno ho continuato a seguirlo. Non è stato facile perché eravamo cinquantatré persone in scena. Lo spettacolo era Mistero Buffo di Vladimir Majakovskij, un testo russo, ma che riguarda tutti, perché ci vuole una rivoluzione, anche per noi, per cambiare le cose. Eravamo molto carichi, è stata una bella esperienza, e in qualche maniera, in quel momento, abbiamo fatto la nostra rivoluzione anche noi.
E tu, quando hai iniziato la tua esperienza da spettatore con Diverse Visioni e poi e da attore?
Ibrahima Deme: Ho incontrato il progetto tramite un ragazzo che vive nella mia comunità. Studiavamo insieme italiano al Centro Astalli quando siamo arrivati. Un giorno mi ha detto “c’è una signora che è passata, ha lasciato delle cartoline su un progetto che parla di teatro, vuoi andarci?”. Così ho iniziato a seguire Diverse Visioni. Lì ho creato una rete di amici che potevo riconoscere in giro per la città. Abbiamo continuato con gli incontri, poi alla fine abbiamo fatto una tavola rotonda per parlare della drammaturgia africana, dei testi africani, del come non arrivino qui in Europa e soprattutto in Italia, perché spesso sono tradotti dalla lingua africana al francese. Margherita leggeva un drammaturgo africano che è congolese, si chiama Dieudonné Niangouna. Me l’ha fatto leggere, mi è piaciuto molto e abbiamo messo in scena M’appelle Mohamed Ali. Stare da solo su un palco, gestirmi lo spazio, è stato una consacrazione per me, mi sono divertito un sacco e non vedo l’ora di tornare in scena.
Mahamadou Kara Traore Qual è la tua esperienza del teatro in Costa d’Avorio?
Ibrahima Diame: In Costa d’Avorio non è come in un Europa, dove la gente va in una sala apposta per vedere il teatro; molto spesso non è così, gli attori vanno in giro con la musica su una carovana e fanno dei piccoli sketch per sensibilizzare o fare delle pubblicità di una marca, per attirare la gente quando c’è la folla, molto spesso sono gli attori che vedevamo in televisione. Oppure sono campagne per sensibilizzare sull’uso dei preservativi, sull’hiv. La mia esperienza è stata questa. Una volta c’era una campagna di sensibilizzazione sull’utilizzo della carta d’identità, un mio amico mi ha chiamato dicendomi che il casting era aperto e così ho partecipato anche io come attore.
Mahamadou Kara Traore: In Mali, a Kita – io non sono di Bamako, la capitale, e non so lì come funziona – ci sono persone che fanno la commedia, fanno ridere. Fanno queste commedie nei campi sportivi, nei posti dove ci sono spazi grandi; l’ingresso viene più o meno due euro, tu paghi, entri e ridi. C’è un po’ di ironia, perché parlano della società, ma soprattutto molta comicità. Qui in Italia il teatro mi piace perché è un teatro più reale; mi piace il fatto che ci siano dei luoghi chiamati “teatro”, oltre la televisione o la radio, o internet, dove poter vedere il pensiero di qualcun altro. Tu vai a vedere uno spettacolo e magari sembra parlare proprio di te, della situazione che tu hai intorno. È un arma molto potente e bisogna prendersi molto cura di questo elemento che ha l’Europa, bisogna starci attenti, non ce la dobbiamo perdere.
Qual è uno spettacolo che hai visto qui a Palermo che ti ha colpito particolarmente?
Ibrahima Deme: Quello che non ho, che ho visto al Teatro Biondo; era uno spettacolo tra musica e racconto. Raccontava di ciò che il protagonista non riusciva a trovare e a ottenere nella sua vita. Uno che non riesce a ottenere i suoi obbiettivi a volte va fuori di testa per questo, ma non è detto che nella vita sbagliare è solo una cosa negativa, magari sbagliare ti porta a delle esperienze per non sbagliare di nuovo.
Mahamadou Kara Traore: Io penso a Ragazzi di vita, al Teatro Argentina. Dopo la seconda guerra mondiale, in Italia c’era la fame, la povertà. Quando ho visto questo spettacolo era l’ottobre del 2016, non capivo ancora bene l’italiano, ma mi ha colpito perché ho visto una situazione che poteva essere paragonata a qualcosa già visto in Mali; come era il sistema, come le persone si muovevano, la sofferenza che c’era. Mi ha toccato direttamente vedere quando in Italia c’era la fame e c’era chi andava in America, in Germania, in altri paesi. E c’erano questi ragazzini delle periferie che rubavano, si divertivano pure, nonostante tutto, ma in fondo non stavano bene perché erano costretti a rubare per campare. Se vai a vedere giù da noi oggi, o anche qui, ci sono persone costrette a chiedere l’elemosina o a fare cose che la loro cultura non gli permetterebbe; loro non sono così, ma sono costretti a vivere così per sopravvivere.
Questo mi fa pensare. Noi che siamo la seconda generazione africana dopo l’indipendenza, che cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare per arrivare un giorno a dire che tempi fa eravamo così e oggi siamo cambiati, a raccontare che una volta c’era un rotta migratoria? Per poter prendere un giorno l’aereo e arrivare in Italia come se fossimo turisti cinesi, o inglesi, a visitare per una settimana il Colosseo e poi tornare a casa?
Ibrahima Deme: secondo me possiamo farcela, non è detto che tutte le persone che hanno attraversato il mare resteranno qui, qualcosa tornerà a casa. Quello che vorrei è che non tornassero solo le ricchezze, magari che tornasse anche l’ideologia di stare insieme e aiutarci a vicenda; noi che siamo arrivati qua, possiamo portare quello che abbiamo scoperto di nuovo per far scoprire qualcosa che può servire lì, anche se non ci siamo più.
Mahamadou Kara Traore: Eppure ci sono dei sistemi che dovremmo proprio abolire, per stare bene. Tutta la nostra zona, il Mali, la Costa d’Avorio, la Guinea Bissau, il Gambia, un po’ di Senegal, sono zone divise dagli occidentali. Tutta quella zona si dovrebbe chiamare solo Manden. Io parlo bambara, tu parli djula, ma in realtà tutto questo viene dall’etnia malinke, prima si parlava solo malinke. Noi ci capiamo, ascoltiamo le stesse musiche. Djula in bambara vuol dire commerciante; i commercianti che partivano dal Mali e andavano verso il mare restavano a vivere in Costa d’Avorio e sono rimasti lì, e per questa lontananza è nata un’altra lingua, mischiandosi con le altre lingue del Ghana e del Niger, ma c’è poca differenza. Ma la gente giù da noi non lo sa più, ce lo dimentichiamo. Ovviamente sarebbe molto difficile rimettere questi stati insieme, ma bisogna almeno mettersi su un tavolo e dividersi i bene comuni che abbiamo, il mare, l’oro, l’uranio…
Ibrahima Deme: per me la cosa migliore sarebbe riunire tutti questi paesi, e così evitare di scontrarci con un altro che viene da fuori a prenderci per il culo; altrimenti saremo sempre stranieri nei paesi degli altri.
Mahamadou Kara Traore, Ibrahima Deme, Luca Lòtano
Qui, il percorso di visione 2019/2020 con Diverse Visioni a Palermo