Racconto della visione e dell’incontro successivo alla visione di Finale di partita di Teatrino Giullare allo Spazio Franco di Palermo
Alla fine dell’incontro, il giorno dopo aver visto Finale di Partita di Teatrino Giullare, uno degli spettatori facendo riferimento al teatro di figura e all’animare gli oggetti, dice: «il dare vita non è un gioco». Poi, quando tutti sono ormai in piedi si avvicina e quasi volesse rivelare un segreto fa riferimento al Zangbeto, un’enorme maschera di paglia animata, guardiano della notte per il voodoo. Ma come siamo arrivati da Beckett e il Teatrino Giullare al guardiano della notte nel Benin, in Nigeria? Ripartiamo dall’inizio, dallo spettacolo visto a Palermo.
Finale di partita, allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori, premio UBU speciale nel 2016 e premio ANCT, è uno degli spettacoli fondanti nella produzione della compagnia Teatrino Giullare. In scena, seduti attorno a un tavolo, due attori-giocatori in mezza maschera muovono le pedine-personaggi dando vita al capolavoro di Samuel Beckett su un finale di esistenza nel quale ogni mossa porterà comunque a una sconfitta. Nell’allestimento di Teatro Giullare, davanti agli occhi dello spettatore, esplode il rapporto tra il teatro di figura e la produzione teatrale del drammaturgo irlandese*; l’evidenza di come la reificazione della figura umana e l’animazione, fin quasi all’animismo degli oggetti, ricalchino ed enfatizzino i drammi dei personaggi beckettiani ridotti a marionette da manipolare.
Lo spettacolo è un piccolo miracolo teatrale che inizia a sentire il peso del tempo, all’interno del quale proviamo a infilarci come possiamo, con gli strumenti che abbiamo. Difficile trovare come grimaldello un’emozione. Allora scegliamo di partire dalla tensione – quel “tra” – che si viene a creare tra oggetto manovrato e soggetto manovrante, per parlare dello spettacolo visto allo Spazio Franco con il gruppo di Diverse Visioni composto da spettatori italiani, guineani, gambiani e ivoriani. Quali e quante sono le relazioni all’interno dello spettacolo? E a che partita stiamo giocando noi e loro, chi guarda e chi è guardato?
«Il gioco crea l’affezione, la conoscenza e la collaborazione. La collaborazione crea ripetizione, la ripetizione crea competenza, la competenza crea intelligenza» dice Morlaye. E se l’unica certezza che abbiamo è che la partita tra Hamm, pedina ferma e cieca, e Clov, pedina che si affanna per la scacchiera senza potersi mai sedere, è una partita che non si può vincere, la relazione tra oggetti e uomini dà subito uno spunto per nuovi scenari. A darci una mano, nello sperimentare le relazioni del teatro di figura, è Vito Bartucca con i burattini del Teatro degli Spiriti che infiliamo sulla mano e mettiamo in relazione con noi e con gli altri. Animare un oggetto è esperimento che abbiamo vissuto tutti da bambini, interrogarci su chi muova chi, o cosa, è una domanda però che resta aperta. E a lasciarla aperta è lo stesso Teatrino Giullare, che alterna la vita e la morte negli oggetti e nei corpi, usa il non umano per significare l’umano, e a tratti l’umano per significare il non-umano come quando la mano di uno dei manipolatori diventa un muro.
Allora iniziamo a parlare di soldatini, bambole, orsetti, posate, tappi delle bottiglie, mollette, fiori, legni che prendono vita, e poi di maschere, della danza del leone con la maschera Zimba al Root festival in Gambia, della maschera con il volto di donna dello Zaouli della Costa d’Avorio, e della funzione di rito alla quale queste maschere e questi oggetti assolvono. Quel rito che invochiamo nuovamente in Italia nel cercare un nuovo ruolo per il teatro, in una rinnovata relazione con il pubblico, con la società.
E poi, in fine, quando tutti si sono alzati, del voodoo. Non per la famosa bambolina. Ma per il rispetto del “dare vita”, del potere trasfigurante della maschera, dell’animismo che anima. Zangbeto è una grande maschera colorata coperta di paglia. Non ha forme umane, è animata. Ha una funzione sociale, esce dal suo convento accompagnata da almeno due « Gbetovi », « figli del guardiano », e si reca nelle case dei ladri, degli adulteri, dei debitori, chiedendo loro di riparare ai loro torti. Cosa ci sia lì sotto ad animarlo, è una risposta che appartiene a chi guarda. E mentre Mbemba racconta tra il suo sguardo di rispetto per quella forza che anima l’oggetto, e il mio sguardo smaliziato, disincantato, ci riconosciamo lontani. Ma in quel “tra”, troviamo la nostra relazione.
Luca Lòtano, con Morlaye Camara, Claudia Vitale, Alagie Camara, Vito Bartucca, Ibrahima Deme, Margherita Ortolani, Mbemba Camara, Moussa Coulibaly
* Sul tema, Becket&Puppet , studi e scene tra Samuel Beckett e Teatro di figura a cura di Fernando Marchiori