Il laboratorio di visione LeREM interagisce con le performance di Diana Anselmo, Sara Pranovi e Cristina Kristal Rizzo
Luca: Una delle direttrici del festival Interazioni|Ctonia che abbiamo attraversato con il laboratorio di visione è stata quella dei processi dei corpi che aprono spazi di emersione della parola sia questa espressa in qualsiasi lingua e forma, sonora o visiva. Il festival ha proposto a noi, alla città, l’incontro con Diana Anselmo (performer sordx bilingue italiano e LIS e attivista/co-founder dell’associazione Al.Di.Qua.Artists) e Sara Pranovi, (interprete LIS certificata con esperienza specifica nel campo performativo) in Je Vous Aime – una performance per gli udenti seguita dallo spazio di confronto ‘Our body remains the enduring reality’ a Fortezza Est, e con Diana Anselmo e Cristina Kristal Rizzo nella performance Monumentum DA (primo studio) dentro Largo Venue.
La prima, Je Vous Aime, è una lecture-performance in Lingua Italiana dei Segni (LIS) e Visual Sign (forma poetica delle lingue dei segni) che parte dall’invenzione di Georges Demenÿ che con un apparecchio da primordi del cinema riesce nel 1891, per la prima volta, a proiettare una debole immagine, silenziosa, in movimento: il suo stesso volto che pronuncia con le labbra le parole «Je vous aime».
Il video, finalizzato ad insegnare la lettura labiale a dei/delle giovan* sord*, dopo che venne per legge impedito loro di segnare, è un documento sull’impedimento storico di usare il corpo come lingua. La LIS tornerà infatti ad essere riconosciuta come vera lingua solo a maggio 2021.
Julio: il mondo dei segni mi era lontano, è stata Je vous aime. Una performance per gli udenti ad avvicinarmi. Ho capito di essere parte di un gruppo sociale chiamato “gli udenti”, che per maggioranza numerica convertono il mondo in un posto complesso da decifrare se non si possono ascoltare dei suoni. Ho capito che ci sono dei canali che possono essere sfruttati per migliorare la comunicazione non verbale, ho capito che una parte importante della comunicazione è scegliere il canale più semplice e comprensibile per tutti.
Luca: una nuova lingua allora, quella LIS che nella seconda performance, Monumentum DA, nel corpo di Diana Anselmo si trasforma in musica visiva, tra affondi politici e slanci vitali con l’assemblea di persone sedute dentro Largo Venue.
Julio: ho pensato sempre al suono come la parte più importante nella musica. L’ho pensato fino a qualche giorno fa. Adesso penso alla musica come un canale nel quale si può comunicare un messaggio, a prescindere se questo sia acustico o no. Due strade, una per un suono e una per un segno, uno spettacolo per dimostrare in diretta il perfetto parallelismo dei mondi, la trasformazione di un brano da un mondo a un altro.
Luca: anche Zara Muradi, che probabilmente faticava a leggere i sovratitoli in italiano, racconta che le parti più piene e significanti per lei durante Monumentum DA erano proprio quelle del silenzio, al di là delle parole scritte.
Zara Muradi: It was the first time I saw a performance that was performed in this language. When I was watching the performance in Largo Venue for me it was hard to focus and understand, two persons were performing and the words crossing the board in the background. Most parts of the performance were in silence and interesting for me especially the parts where she was playing the music with her body and hands, even in that part where the music was cut I could hear the music in my head when I was just looking at her.
Luca: e così, rivoltando l’espressione del “lasciar segno”, stavolta sono stati i segni a lasciarci delle parole:
fonocentrismo – concetto identificato per la prima volta dal filosofo francese Jacques Derrida; è la convinzione che la lingua parlata e i suoni siano intrinsecamente superiori rispetto alla scrittura e, per estensione, alla lingua dei segni. Da questo deriva la convinzione che la parola sia una forma “naturale” di comunicazione, mentre la scrittura e il segno siano convenzioni “artificiali”, e da questa concezione ha origine poi l’audismo
audismo – termine con cui si intende la discriminazione della comunità sorda. Discriminazione basata sulla capacità o meno di sentire, causa di pregiudizio e marginalizzazione basato sulla lingua
linguicismo – a metà degli anni ’80, la linguista finlandese Tove Skutnabb-Kangas ha riassunto questa idea della discriminazione basata sulla lingua con il concetto di linguicismo, che indica “le ideologie e le strutture usate per legittimare, effettuare e riprodurre la disparità di divisione del potere e delle risorse tra i gruppi che si stabiliscono sulla base della lingua”.
Parole che risuonano potentemente in un dispositivo comunitario come quello della nostra Redazione Multi.lingue, visioni, linguaggi. In quanti modi dobbiamo provare a parlare per capirci?
Frishta: people from different countries come together. And get to know each other and work for a common goal, it is necessary to communicate with each other, and sometimes to understand one another, it is necessary to point to another person to understand that this is my goal, and to understand the other person. The topic that was interesting to me and I understood was that sign language is not only for people who can’t hear or speak, sign language is sometimes for everyone.
Mehedi: quello che dici mi fa pensare al Bangladesh. Lì se una persona sorda nasce in una famiglia di classe superiore, è protetta e può vivere con gli altri in un ashram (luoghi di meditazioni dei saggi, anche usati come scuole residenziali); ma se nasce in una famiglia di classe media, quella persona è “parte del debito della famiglia e delle sue difficoltà”. E se un sordo nasce in una casa povera, il suo posto è la strada.
Elaha: In Afghanistan, 4 years ago, I visited a school for the deaf in Herat. A different world, a different education, even a different alphabet
Luca: allora seguendo la definizione di Monumentum, come memoria, segno di riconoscimento, qualcosa che viene dal passato, ci affidiamo anche noi a quel movimento. Fermiamo la progressione continua del flusso produttivo, spostandoci “nella profondità della memoria, in una sorta di anacronismo temporale”.
Jabar Baghcheban raccontato da Zara Kian
Zara Kian: è la prima volta nella mia vita che ho visto uno spettacolo con la lingua dei segni, e molte cose sono tornate nella mia memoria. Nell’eccitazione corporea di due persone sorde e non sorde mi sono ricordata che quando ero bambina, in Iran, avevamo un vicino sordo che era padre di famiglia, e tutte le responsabilità sociali della famiglia, prendersi cura dell’educazione dei bambini, erano a carico della madre. C’era anche una ragazza della mia età nel nostro quartiere che vedevo raramente perché era sorda e non c’era una scuola che fosse anche per lei. Così quella ragazza era dovuta andare alla scuola “Baghcheban” a Teheran. È un onore per me parlarvi di Jabar Baghcheban. Jabar, nato nel 1886, aveva poi lasciato la sua terra, Yerevan, in Armenia, e aveva iniziato a lavorare come insegnante a Tabriz, una città nel nord dell’Iran, insieme a sua moglie; fu lì che capì la necessità di insegnare per la prima volta ai sordi in Iran.
Chiamò la sua scuola baghche-ye atfal (باغچهٔ اطفال) che letteralmente in persiano significa “il giardino dei bambini”; per questo lui veniva chiamato baghcheban (باغچهبان) che significa “custode del giardino”; fondò la scuola nonostante molte obiezioni, e iniziò a stampare libri speciali per bambini con i propri disegni, nonostante le difficoltà di stampa. A poco a poco, nel corso degli anni, venne istituita in tutto l’Iran una serie di scuole “Jabar Baghcheh Ban”. Jabar ha dedicato tutta la sua vita ai bambini sordi. È anche il primo autore ed editore di libri per bambini in Iran; uno dei suoi libri, intitolato “Snowman”, è stato pubblicato dal Centro per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti e il World Council of Children’s Books lo ha scelto come il miglior libro per bambini.
Mentre guardavo le performance, per la prima volta, ero felice che la bambina della porta accanto mia, “Sumiya”, avesse avuto la fortuna di avere un padre che l’ha aiutata a vivere la sua sordità. Anni dopo, Sumiya ha sposato una persona sorda e vive accanto ai suoi genitori. Vedere questo spettacolo e lo spettacolo della sera successiva ha riportato questi ricordi nella mia mente e ne ho riparlato con la mia famiglia in queste notti.
E dopo aver visto lo spettacolo della notte del 22 novembre “ Je Vous Aime” e aver visto che Annalisa di Chiasma aveva imparato volontariamente la lingua dei segni per curiosità e passione, mi sono chiesta perché, dopo aver lavorato con i bambini per tanti anni, non avevo mai nemmeno pensato di poter diventare un’insegnante in lingua dei segni. E mi è tornata alla mente, nelle mani, che sulla porta dell’aula della scuola di italiano di Asinitas, dove ho conosciuto Luca, era attaccato un foglio che riportava le lettere dell’alfabeto in LIS, e di come mentre andavo a scuola di italiano mi esercitavo a segnare “Zara“ con le dita.
Dialogo a cura di:
Zara Kian, Julio Ricardo Fernandez, Zara Muradi, Ela Qaderi, Fristha, Mehedi Sharif