Giorno 2. «Stare a casa» . «در خانه ماندن »

Picnic sul ciglio della strada. Il laboratorio teatrale di Asinitas con DOM-

11 marzo 2025 – Asinitas

Il secondo giorno di laboratorio era dedicato all’ascolto. Leonardo, la nostra guida, ci ha detto: «Riuscite a provare a usare solo l’orecchio sinistro?» All’inizio era molto difficile; chiudere uno degli ingressi del suono era davvero strano! Poi abbiamo provato il contrario: ascoltare solo con l’orecchio destro. C’era una differenza? Io ho sentito che l’orecchio sinistro lasciava entrare il suono in modo più morbido, mentre l’orecchio destro lo percepiva più chiaro e dettagliato, ma un po’ più ruvido. Poi abbiamo chiuso gli occhi e camminato per la classe, seguendo i suoni solo con le orecchie, senza vedere. A volte il suono mi riempiva la testa e pensavo di poterlo afferrare con le mani! Altre volte sembrava lontanissimo, come un tunnel. Questa esperienza mi ha stancato il cervello. La parte più complicata è stata quando Leonardo ha detto: «Ora allontanatevi dal suono!» In quel momento il mio cervello non riusciva a farlo. È stata un’esperienza strana. Avevo già provato la sordità selettiva, ma allontanarmi dal suono dopo averlo seguito così tanto era davvero difficile.

Poi ci siamo messi in cerchio e abbiamo scelto un oggetto nella stanza che facesse un suono piacevole per noi, e creare un suono con il nostro corpo che ci piacesse. Scegliere l’oggetto è stato veloce; ho pensato subito alle mie chiavi di casa. Il suono del mazzo di chiavi quando lo tiro fuori dalla borsa vicino casa mi piace sempre. Di solito gioco con le chiavi in mano e il suono mi fa stare bene. Ma scegliere un suono del corpo è stato più complicato, soprattutto perché non volevo che fosse fastidioso; per esempio, schioccare le dita a volte dà fastidio, e non volevo un suono dalla gola o dalla bocca. Ho guardato le mie mani e mi è venuto in mente che strofinarle insieme quando fa freddo mi piace sempre. Anche vedere gli altri farlo, o nei film.

Abbiamo formato gruppi di due e siamo andati a fare un “concerto” da soli. La mia compagna era una bellissima ragazza gambiana di nome Zainab. Zainab significa “gioiello del padre”, un nome comune anche in Iran. Prima si è sdraiata Zainab e ha chiuso gli occhi. Le ho detto piano nell’orecchio destro: «Sono Zara e questo concerto è per te.» Ho preso le chiavi dalla tasca e ho iniziato a muoverle vicino e lontano da lei; a volte molto lontano, a volte molto vicino, a volte sopra il suo corpo, con vibrazioni lente o veloci e forti. Quando è stato il turno delle mani, sentire il suono dello strofinarle insieme mi ha emozionato molto, ma non ero sicura che si sentisse bene da lontano. Comunque l’ho fatto, avvicinando e allontanando le mani, e poi ho usato di nuovo le chiavi.

Poi è toccato a me. Con gli occhi chiusi, quando ho sentito il suono delle mani di Zainab che si strofinavano, sembrava il canto leggero di una sega che taglia il legno, proprio in mezzo a una foresta per costruire una capanna. Era un’immagine bellissima. Da lontano non era molto chiaro, ma vicino all’orecchio era molto piacevole. Poi è arrivato il suono del suo oggetto. All’inizio era interessante, ma quando ha iniziato a muoverlo veloce intorno alle mie orecchie – da destra a sinistra e viceversa – è diventato un po’ fastidioso. Quando è finito, mi sono strofinata le orecchie per cercare un suono nuovo e piacevole e uscire da quella tensione. Ho fatto qualche respiro profondo.

Ci siamo riunite in cerchio. Leonardo ci ha chiesto: «Qual è una cosa che amate fare e che fate molto bene?» Dovevamo scriverlo nella nostra lingua madre su un foglio. Hanno distribuito fogli e pennarelli neri. Prima ancora di prendere il pennarello, sapevo cosa scrivere. Le parole sono state lette una dopo l’altra, tutte affascinanti, emozionanti, immaginabili e piacevoli: giardinaggio, piastrellatura, danza, costruire, leggere, cantare, arrampicata, nuoto, decorare, passeggiare… È arrivato il mio turno. Avevo scritto “stare a casa”. Valerio ha suggerito di scrivere la nostra parola con il pennarello nero su un tessuto, dove volevamo e nella dimensione che preferivamo. Leonardo ci ha chiesto di pensare, mentre scrivevamo, a quando abbiamo capito che eravamo brave in quella cosa e che ci piaceva.

Poi abbiamo fatto un picnic e ognuno ha raccontato nella propria lingua madre. L’idea era ascoltare il suono delle parole, non capirle! Ero molto emozionata, commossa quando volevo iniziare a parlare: «Quando ero al liceo, ho capito cosa amo fare! In farsi, l’ho raccontato nei dettagli…

وقتی دبیرستانی بودم ،فهمیدم که عاشق چه کاری هستم !!! با جزییات نوشتمش …

سالها گذشت و تجربه ی زندگی دانشجویی بهم یاد داد چطور فضای شخصیم رو بسازم و چگونه یه چهاردیواری رو تبدیل به “خونه” کنم!
و خونه ای تو قلبم داشته باشم و همه جا با خودم حملش کنم.

۳۳ ساله شده بودم ، فارغ التحصیل از دانشگاه ، تصمیم گرفتم مستقل زندگی کنم و تهران موندم .

بالاخره تونستم یه سوییت بزرگ توی سعادت‌آباد اجاره کنم.

خونه‌ یه سالن بزرگ داشت، به شکل L , با دو قفسه ی بزرگ کتابخونه ، که تونستم خونه رو به سه بخش تقسیم کنم .

بخش اول تخت خوابم ، میز تحریر و درآور و آیبنه گذاشتم، در تراس درست روبروی تخت باز می‌شد. یک تراس مثلثی شکل ، پر از گل های شمعدونی و پرنده های سفالی با یه میز کوچک و دوتا صندلی .

بخش دوم یه نشیمن سنتی بود. با تشکچه و بالشت های کوچک ، و یه بخاری قدیمی کنج دیوار، گاهی پوست پرتقال رو می گذاشتم روی بخاری ،تا خونه معطر بشه.

در سالن ورودی اما یه فرش دست بافت قرمز رنگ زنجان گذاشتم با یه ست «مبل ایران» قدیمی سبز رنگ.

کتابخونه‌ ها رو با جزییات چیدم ، کتاب های تاریخ هنر و فلسفه در یک سمت، بخش دیگه رمان ها و شعرها رو‌گذاشتم و زندگینامه‌هایی که آروم آروم شروع به جمع آوری کرده بودم طرفی دیگر !!!

بین قفسه‌ها، جا شمعی‌های کوچیک، نقاشی مینیاتوری و جعبه های کوچک خاتم و چیده بودم. و بطری های کوچک با شاخه های پتوس پراکنده بین کتاب ها!!!

گوشه‌ی سالن، یه میز خاطره پر از عکس‌های خانوادگی بود. وسط میز، یه عکس از مادرم گذاشتم ، لبخند زنان زیر نور خورشید در حال قدم زدن بود، عکس رو توی آخرین سفرمون برادرم گرفته بود،!!!

طاقچه‌ های آشپزخونه رو با فنجون‌های رنگارنگ: قرمز ، زرد ، آبی ، سبز و نارنجی و قوطی‌های فلزی چای و قهوه چیدم . خیلی چشم نواز بود .

Quando ho finito di sistemare la casa, l’ho guardata e ricordo chiaramente quel momento in cui con ogni cellula del mio corpo voleva che il tempo si fermasse e potessi “stare a casa” per sempre.
Sono stata fortunata, perché lavoravo nei fine settimana e, a differenza di tutti, all’inizio della settimana, quando gli altri erano al lavoro, io ero a casa mia, felice anche se a volte triste, e vivevo, semplicemente.

«Stare a casa» . «در خانه ماندن »

Stare a casa e salutare il sole, stare a casa e guardare film, stare a casa e apparecchiare la tavola per gli ospiti, stare a casa e restare a letto depressa, stare a casa e leggere, stare a casa e essere pigra e perdere tempo, stare a casa e fare giardinaggio, stare a casa e parlare ore al telefono con la mia famiglia, triste di non essere lì a vedere i nipoti crescere, stare a casa e sognare, stare a casa e fare sport, stare a casa e preparare la tavola per Yalda o Nowruz e festeggiare, stare a casa e vivere, semplicemente…

Ascoltare le storie di tutti mi ha riempito di emozione, anche quelle che non capivo e di cui conoscevo solo il titolo. Come quando Nino, con la sua voce sottile quasi impercettibile, ha iniziato a raccontare in russo quanto ama cantare, con un sorriso e gli occhi che brillavano. O Francesca costruire i bottoni, e mi vedevo nella sua infanzia. O immaginare l’albero di limoni di Leonardo e le 26 case che ha cambiato, il ritmo dell’apprendimento del nuoto di Victoria, le piastrelle ordinate di Adarou, il piacere delle passeggiate di Angelo, il sorriso di Fede allo specchio, la libertà di Arianna che ballava a quattro anni, il suono delle parole di Souleymane, Zainab… Walter in montagna e la sua gioia, Shakira e le sue mani che decorava…

“Erano tutti me, e mi rivedevo in ognuno di loro.”

Alla fine un’unità profonda si è creata nel movimento dei nostri corpi, e la nostra connessione sta diventando lentamente chiara. Una fine poetica con i corpi distesi (corpi abbandonati al riposo) e silenzio, silenzio, silenzio… Nessuno vuole alzarsi!

Zara Kian

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