Giorno 3. Lo spazio vuoto tra le cose

Picnic sul ciglio della strada. Il laboratorio teatrale di Asinitas con DOM-

foto Zara Kian

18 marzo 2025

Il primo passo è il rito di stendere il telo, un rito che tutti noi facciamo a piedi nudi, senza scarpe.
In un batter d’occhio, le nostre mani unite lo aprono.
Ci mettiamo in cerchio intorno al telo e ci sediamo.
Ognuno entra nella “zona” a modo suo, trovando un posto per sé.
Con sguardi di sostegno, aspettiamo l’arrivo l’uno dell’altro. Poi chiudiamo gli occhi e molto lentamente, passiamo da seduti a sdraiati, prima rilassandoci e poi stendendoci del tutto.

Immagino quanto questa scena debba essere affascinante per chi guarda: corpi che scivolano sul telo come onde leggere, respiri che vanno e vengono come una brezza.

Ci concentriamo sul respiro: ogni inspirazione che arriva, ogni espirazione che esce con delicatezza . Il suono leggero dei corpi che si muovono sul telo, mescolato ai respiri profondi, crea un’atmosfera dove il tempo sembra sospeso. In questo silenzio e calma, piano piano entriamo in una specie di trance.

Gli “stalker” ci guidano e raggiungiamo una leggerezza e una libertà tali che, quando provo ad aprire gli occhi, sento una strana resistenza dentro di me, qualcosa che non vuole lasciarmi uscire da questo stato. Eppure lentamente torniamo da sdraiati a seduti. Lo stalker dice: “Fissate una persona o un oggetto, e poi provate a guardare lo spazio vuoto tra due cose”. I miei occhi lacrimano un po’, il bruciore è dolce.
Poi passiamo l’uno accanto all’altro con leggerezza, immaginando i nostri corpi come porte che portano dentro informazioni dall’esterno. Il fuori entra dentro!! Proviamo a capire lo spazio e le cose con gli occhi, le mani, i piedi, la pelle, i talloni, col tatto. Tutto è lento e calmo, lento e calmo, lento e calmo!
Siamo invitati al silenzio e alla quiete. Un momento ci concentriamo sull’esterno, un momento sull’interno.

Usiamo questo corpo ogni giorno, e questo esercizio può sembrare semplice, ma è profondamente complicato e a volte confonde.
Ho vissuto momenti in cui non riuscivo a gestire due sensi insieme, mi sentivo incapace!
Ho voluto toccare l’aria con le mani, ascoltare la luce del sole.
C’è stato un momento in cui, con gli occhi chiusi, camminavamo tra noi senza mai sfiorarci. Alla fine, sempre a occhi chiusi, ci siamo raccolti nel punto più centrale, stretti l’uno all’altro, e ci siamo seduti piano. Era il momento di aprire gli occhi, di riposare…

Amo questa lentezza del tempo, questa pigrizia del corpo, questa calma della vita. Vorrei fosse sempre così.

Dopo una breve pausa, iniziano le chiacchiere. Un gruppo si riunisce intorno a Zainab e Viktoria, parlano di cucina e piatti locali. La curiosità reciproca comincia a emergere.
Walter mi chiede: “Tu cucini?”
E Giulia con affetto mi dice: “Il tuo hummus è famoso!” Io rispondo: “Non so ancora cucinare tante cose, non le ho mai provate, ma quelle poche che conosco le faccio bene. Nel mio cuore so che, se aspetto un ospite con amore, posso cucinare ancora più buono”.

Ora siamo tutti pieni di energia e sorrisi. Su proposta di Leonardo e Valerio, ognuno scrive una poesia sul telo, una poesia che rispecchi il nostro stato d’animo di adesso, nelle nostre lingue madri.

Io, nel “CA” della mia casa e nel suo punto, scrivo una poesia di “Sohrab Sepehri”.
Scrivo e sussurro:

دشت‌هایی چه فراخ
کوه‌هایی چه بلند
در گلستانه چه بوی علفی می‌آمد!
من در این آبادی
پی چیزی می‌گشتم
پی خوابی شاید
نوری، ریگی، لبخندی!

“What grand plains!
What high mountains!
What fresh scent of grass came from the meadow!
I was searching for something in this village:
Perhaps for a nap,
Perhaps for a light, a drop of sand or a smile.”

“Prati così vasti,
montagne così alte,
che profumo d’erba arrivava dal prato!

In questo villaggio cercavo qualcosa,
forse un sogno,
una luce, un sassolino,
un sorriso!”

mi alzo, giro tra gli altri, curiosa e desiderosa di vedere le loro poesie.

Ora, vorrei ascoltarle tutte, una per una.

Zara Kian

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